Il Museo polare etnografico Silvio Zavatti è l'unico in Italia dedicato alle ricerche polari artiche italiane.
Il museo ospitato a Palazzo Paccaroni si estende lungo sei sale espositive:
La sala I accoglie il visitatore con l’affascinante ricostruzione di un accampamento artico e il sistema di casse e oggetti che costituivano l’equipaggiamento con cui Zavatti affrontava i suoi viaggi ai Poli.
Sulla scia della sala I, dove vengono presentati l’organizzazione di una spedizione polare e la grande impresa del Duca degli Abruzzi e della sua “Stella Polare”, la sala II continua a raccontare la storia delle grandi esplorazioni polari con le vicende del Generale Umberto Nobile e le spedizioni scientifiche di Silvio Zavatti.
Nella sala III si può ammirare una pelliccia di orso polare a grandezza naturale (dimensioni 3.2×2.8 m) acquistata dall’Associazione Amici del Museo Polare. Nelle due vetrine sono custoditi diversi resti di animali artici e antartici e vari reperti geologici. Troviamo denti di narvalo, cranio di beluga, ghiottone, di cane eschimese, di volpe artica, denti di capodoglio e fanoni di balenottera. Varie pelli di foca e di volpe artica.
La sala IV del Museo Polare ospita le carte geografiche che Zavatti utilizzò nelle sue esplorazioni, oltre alle collezioni donate da personaggi illustri fra cui l’esploratore polare Jean Malaurie, il filatelico Lino Brillarelli e l’etnologa Luciana Gabbrielli.
Entrando nella sala V ci vengono presentati gli Inuit, gli abitanti del Polo Nord, gli indigeni delle regioni artiche della Groenlandia, Canada, Alaska e Siberia con cui venne in contatto Zavatti. Discendenti da antiche popolazioni dell’Asia centrale, circa trentamila anni fa migrarono in tutta l’area artica e subartica fino a raggiungere a est la Groenlandia, a nord l’odierno Quebec, e il Labrador.
Nella sala VI si trovano altri oggetti che testimoniano la cultura, le tradizioni, il culto e le forme d’arte degli Inuit. Zavatti rimase profondamente colpito da questo popolo, che viveva all’insegna dell’uguaglianza e della solidarietà fra villaggi. La loro società non aveva particolari gerarchie: a cardine della loro organizzazione sociale c’era la libertà di scelta, ma sempre nel rispetto degli altri componenti del gruppo.