Il museo fu aperto nel 1931, per volere del Guardasigilli Alfredo Rocco che voleva raccogliere e mettere alla portata degli studiosi gli strumenti che più avevano caratterizzato il mondo della criminalità; ma l'idea di aprire un museo criminologico a Roma era già viva sul finire dell'Ottocento.
Dopo una prima sezione, dedicata alla storia dell'esercizio della giustizia dall'età antica fino al XVIII secolo, segue una sezione dedicata alla nascita nell'Ottocento delle istituzioni carcerarie e delle antropologie criminali. In questa sezione è ampiamente documentata anche la contemporanea nascita del manicomio criminale grazie all'esposizione di testi e materiali di studio, nonché ad un ampio apparato iconografico, raccolto da Cesare Lombroso e seguaci che, attraverso l'analisi di reperti anatomici di noti delinquenti e prostitute dell'epoca, tentò di dimostrare il legame che univa determinate caratteristiche fisiche alle attitudini criminali.
L'ultima sezione è occupata dalle forme di criminalità moderna insieme ai corpi di reato relativi a furto con scasso, spionaggio, falsificazione e gioco d'azzardo, mentre una saletta separata è stata appositamente allestita per ospitare fatti di sangue che sono stati oggetto della cronaca nera degli ultimi decenni.
Alcuni reperti esposti sono: strumenti di tortura quali gogne, una vergine di Norimberga, una briglia delle comari, la pistola usata da Gaetano Bresci per l'assassinio di Umberto I, il tagliacarte con cui venne ferito Mons, scudisci, fruste e ferri vari; la divisa del boia Mastro Titta che, tra il 1796 e il 1864, eseguì ben 516 condanne a morte mediante impiccagione, decapitazione e squartamento. C'è persino un calco in gesso del cranio del criminale Giuseppe Villella, con il quale il criminologo Cesare Lombroso, scoprendo la fossetta occipitale mediana, ritenne di aver provato la delinquenza atavica.